Intervista a Giuseppe Palmieri sul ruolo del cameriere
Intervista a Giuseppe Palmieri sul ruolo del cameriere
Maître e Sommelier dell’Osteria Francescana, Palmieri si esprime sull’importanza e sulle opportunità offerte dal mestiere di Cameriere.

Potrebbe crogiolarsi, dopo una lunga e faticosa gavetta, per essere direttore del primo ristorante italiano, secondo le guide e le classifiche mondiali, l’Osteria Francescana di Modena, ma Giuseppe Palmieri non è tipo da accontentarsi. Ha deciso (insieme a un gruppo di altrettanti illustri colleghi) che per il “personale di sala e cantina” è giunta l’ora del riscatto. Ha fondato Noi di Sala, associazione che vuole far riscoprire «l’essenza del mestiere più bello del mondo, quello del cameriere di classe — spiega — che rischia di sparire per varie ragioni». In un Paese dove oggi mediamente solo il 30% degli iscritti all’istituto alberghiero sceglie la sala e il 70% la cucina, bisogna essere coraggiosi (o folli) per credere al riscatto di una professione per molti negletta. Ma i suoi ragionamenti sono impeccabili.
Palmieri, partiamo da un dato interessante,
secondo
Comunicazione Impresa, nel 2013, in Italia hanno avuto un contratto — di ogni
tipo — 102mila
baristi,
200mila cuochi e 450mila camerieri. Il suo commento?
È il termometro di una
situazione
pazzesca e anticipa il dramma di domani. Lascio da parte i baristi, ma la proporzione tra
camerieri
e
cuochi è assurda. Tutti vogliono andare in cucina e per ora ci riescono, ma la richiesta sta
iniziando a
scendere e se continueranno a uscire cuochi dalle scuole ci sarà un’offerta nettamente
superiore
alla
domanda. La stagione dei grandi chef ha creato cose buone ma anche tante vittime.
La nascita di Noi di Sala parte anche da questa
rivalsa?
No, assolutamente. I fondatori come me collaborano con grandi chef, ben consci
che la
sala
e
la cantina sono parte fondamentale del loro successo. Lavoriamo su due elementi. Da un lato
abbiamo
voluto
dare voce a un mondo che merita molta più attenzione e ci stiamo riuscendo visto che a
partire da
Identità
Golose — il convegno più importante in Italia — abbiamo il nostro spazio. Dall’altro, stiamo
lavorando
per
i giovani: quelli che hanno appena iniziato, quelli già in carriera e soprattutto quelli che
dovrebbero
scegliere questa professione. È un impegno che seguiamo con tanta passione e con un ruolo
preciso:
io
per
esempio, sono il delegato per l’estero.
A proposito, ma è vero che gli italiani sono stati
i
numeri
uno
per decenni?
Esatto. Basta l’episodio del Titanic dove la brigata del
ristorante di
prima
classe — oltre trenta persone — era composta totalmente da italiani. Nell’epoca delle grandi
navi
da
crociera, si è formata l’arte della sala ed eravamo in prima fila, quindi la crisi della
professione,
almeno da noi, è iniziata con la fine della navigazione. Oggi che il movimento si sta
riprendendo,
al
nostro posto sulle navi, ci sono sostanzialmente rispettabili messicani e filippini. Con
tutto il
rispetto, è un’altra storia.
Lei ha mai lavorato su una nave?
Nel
’98 ho
fatto
un
colloquio in Princess Cruise in cui mi offrirono un lauto stipendio in dollari per fare il
runner
(il
cameriere che porta solo i piatti e pulisce i tavoli, ndr)
ma
avevo troppa voglia di imparare. Ringraziai e me ne andai. Sono stato fortunato, poco dopo
incontrai
Massimo Bottura (chef dell’Osteria Francescana, ndr) e la
mia
vita ebbe la vera svolta.
Torniamo sulla terra: ho letto che lei inquadra la
crisi
intorno
agli anni ’90.
Sì. Quando gli analisti — o sedicenti tali — hanno deciso che
bisognava
tagliare i costi alla voce “personale di sala”. Per loro erano troppo alti. Risultato: si
spende
meno ma
è
scesa la qualità del servizio, talvolta in modo drammatico. Fare il cameriere, visto quanto
viene
offerto
normalmente e lo scarso appeal sociale, è un ripiego invece di un lavoro di comunicazione,
importante,
superiore a tanti altri.
Quindi hanno ragione i titolari e gli chef-patron
a
lamentarsi
della mancanza di buon personale o esagerano?
Sbagliano in pieno. Spesso mi
scrivono
per
farsi segnalare giovani “da crescere”, in realtà intendono persone che costino poco e poi si
vedrà
come
se
la cavano in sala. Invece, se proprio non vogliono assumere gente almeno un po’
esperta — che
quindi
pretende un buon stipendio — puntino su giovani sconosciuti e in gamba, da mettere in regola
e da
pagare
onestamente. Questa per me si chiama buona imprenditoria, anche e soprattutto nella
ristorazione.
Forse non è il momento ideale per
farlo.
Guardi,
per
me non è tanto la crisi economica ma la crisi morale che sta facendo i danni maggiori. Ieri,
ho
incontrato
una ragazza maghrebina a cui è stato proposto di lavorare in un locale a una cifra
vergognosa che
non
voglio ripetere: roba da Terzo Mondo e non a Modena. Arrivano da qui i problemi sociali,
perché i
fatturati saranno scesi ma non autorizzano questo trattamento per una cameriera.
Gli stranieri sono più portati degli italiani a
servire?
Sento questi discorsi da una vita e penso siano gran cazzate, non a
caso il
mio
blog si chiama Glocal. Alla Francescana abbiamo in sala italiani che sanno perfettamente
l’inglese
e
un
peruviano che parla in dialetto carpigiano. Ci sono moldavi nati qui che lavorano con
eleganza
superiore
alla nostra. La verità è che siamo ancora provinciali e perdiamo un sacco di tempo sul tema.
Lo
dice
uno
che si sente un terrone emiliano, partito da Matera e adottato da Modena.
Però i viaggiatori dicono che all’estero il
servizio è
mediamente superiore.
Mah, non penso. Ultimamente c’è più attenzione in
Italia.
L’importante — lo ripeto — è che si inizi a investire seriamente tempo e risorse nei
confronti
della
sala
e della cantina. Bisogna rischiare un minimo sennò non ce la faremo mai.
Ci dà qualche idea su quanto guadagna una persona
in
sala?
Posso rispondere nello specifico? Le dico quanto pago nel mio locale,
Panino.
Interessante, visto che lei è dipendente della
Francescana
e
il
gestore di questa originale Drogheria Alimentare, sempre a Modena.
I miei
ragazzi,
assunti
regolarmente, lavorano sei-otto ore al giorno — dal lunedì al sabato — per uno stipendio di
1.000–1.200
euro. Tanto? Poco? Non saprei. Ma non è solo questo il ragionamento da fare: stiamo parlando
di un
lavoro
particolare, dove il tempo ha un valore particolare e la passione fa la differenza. A volte
si
fermano
di
più, a volte si chiude prima. Ma vanno a casa soddisfatti.
In effetti hanno un buon stipendio in un bel
locale.
A parte il fatto che sostengo da sempre che uno come noi, perennemente
in
piedi e
spesso vestito come a un matrimonio, dovrebbe essere retribuito più di altri, come si può
fare
diversamente? Un Paese non potrà mai funzionare pagando 400 euro — magari in nero — un
lavoro
mensile.
Dobbiamo investire sui giovani, non regalando quattrini ma neppure facendo passare la voglia
di
migliorarsi un passo alla volta.
Detto questo, vogliamo la verità: qualche volta
strozzerebbe i
cuochi?
Partendo dal principio che la sala ha senso solo se esiste una cucina,
vorrei
che
tutti loro capissero — come Bottura — quanto amiamo il nostro mestiere e quanto impegno
mettiamo
al
servizio della cucina, soprattutto quella contemporanea. In carriera, ho avuto un rapporto
difficile
con
i
cuochi: spesso mi rendevo conto che lo sforzo per “unirmi” si traduceva in un loro passetto
indietro. La
nostra rivoluzione parte anche dalla voglia di avvicinarci sempre più al loro mondo, non per
invidia
ma
per lavorare meglio. In ogni caso, oggi mi sento felice perché ho capito e sono stato
capito.
Senta, ma il richiamo della
mancia?
L’ho
sempre
considerata il lato romantico del nostro lavoro, che gratifica sia chiaro. Ma per un bravo
uomo di
sala,
il massimo è affrontare un tavolo ostile in partenza, che magari offende pensando che non ti
sentano.
Noi
viviamo sempre sotto pressione, bisogna farsi scivolare le cose e trovare la soluzione.
Quando non
è
facile e se riesci, ti senti un fenomeno. Non ti interessa se il cliente continua a guardare
con
sospetto
e non ringrazia. Ecco se dovessi definire questo lato psicologico del nostro lavoro, direi
che noi
sappiamo trasformare i vincoli in opportunità. Non è fantastico?
Uno “spot” per convincere i ragazzi dubbiosi a
scegliere
la
sala
e la cantina come lavoro, senza sentirsi sfigati?
Facile, c’è la possibilità
di
guadagnare
meglio che in altri settori e se si è bravi si fa carriera rapidamente, soprattutto ora che
la
richiesta
è
notevole e di fenomeni ne vedo in giro pochini. Solo un ottuso non capisce che questo può
diventare
un
lavoro prestigioso: io ho un rubrica telefonica che non hanno i ministri e mi sembra di
vivere
sempre un
“mercoledì da leoni”. Saremo gente di sala ma abbiamo più classe di molti clienti e spesso
siamo
vestiti
meglio! Poi non si corre mai il pericolo della routine e si incontrano personaggi che spesso
ti
insegnano
qualcosa, ti fanno crescere. Salvo il primo chef, una persona in cucina è sostanzialmente
tagliata
fuori
dal mondo.
Siamo d’accordo, Palmieri, però lei dirige il più
noto
ristorante d’Italia e il terzo al mondo…Molti direbbero che predica bene e razzola
meglio.
Sono nel top, ma ho iniziato giovanissimo emigrante al Nord in posti
normalissimi
e
durante la carriera di “alti” ho avuto dei “bassi” dove ho lavorato in locali terribili. Ma
sognavo
che
un
giorno avrei diretto la sala di un ristorante incredibile come la Francescana, servendo i
vini
migliori
e
crescendo insieme a un uomo straordinario come Massimo. Io penso con tutto il rispetto per
le
pizzerie,
i
fast food e le osterie, che un ragazzo ambizioso non può restare lì a vita ma deve pensare
in
grande.

Ci perdoni la marzullata finale, ma camerieri si
nasce?
Si diventa, si diventa. Personalmente non saprei fare altro e come ho detto a
Identità
Golose: faccio il cameriere da sempre, faccio tutti i giorni quello che mi piace.
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Tratto dall’intervista di Maurizio Bertera per Linkiesta.
Link all’originale: https://www.linkiesta.it/2014/03/i-camerieri-molto-piu-dei-cugini-sfigati-degli-chef/